Nove anni dopo l'uscita del libro, gli argomenti che espongo in Contro il management. La vanità del controllo, gli inganni della finanza e la speranza di una costruzione comune, Guerini e Associati, 2010, mi sembrano sempre più attuali.
Per i manager, il considerarsi agente di un principale, esecutore delle aspettative di uno shareholder, è un modo spesso troppo comodo di eludere le proprie responsabilità.
Nel corso di questi anni sono tornato varie volte sull'argomento.
Per esempio con l'articolo “Edward Bond e l’etica dell’immaginario”, Persone & Conoscenze, 66, febbraio 2011. E nell'articolo “Le automobili Fiat sono brutte perché Marchionne guadagna troppo. Ovvero: Estetica e globalizzazione. Luoghi, non luoghi e scelte del management”, Persone & Conoscenze, 68, aprile 2011.
Sono tornato sull'argomento più di recente, con l'articolo “Apprendere ad essere manager Con la guida di Heidegger”, Sviluppo & Organizzazione, 283, agosto-settembre 2018.
E ancora, con “Il ruolo del manager nell’impresa armonica. Dialogo tra me stesso e uno studioso cinico e pragmatico”; sta in AA.VV., Scritti seri e semiseri in onore di Claudio Baccarani, Giappichelli, 2018.
domenica 26 maggio 2019
venerdì 15 dicembre 2017
Sette tipi di manager
Giorni fa -scrivo nel dicembre 2017- mi ritrovavo con un importante manager. Ragionavamo sul suo modo di ricoprire il ruolo. A entrambi è venuta in mente la descrizione di sette tipi di manager, che si trova nel mio libro Contro il management, Guerini, 2011.
Descrizione in qualche modo ironica, ma anche appassionata. Bisogna avere il coraggio di guardarsi intorno e di esprimere opinioni. Con spirito costruttivo. Perché di buoni manager c’è oggi grande bisogno.
Ho ripreso dal libro, in sette post sul sito Bloom!, la descrizione sintetica delle figure.
– Il Manager come-si-deve.
– Il Miracolato.
– Il Complice.
– Il Cocco dell’Analista Finanziario.
– Il Lobbista che gioca in proprio.
– Il Cinico Umanista.
– Il Manager Cresciuto in Casa.
Descrizione in qualche modo ironica, ma anche appassionata. Bisogna avere il coraggio di guardarsi intorno e di esprimere opinioni. Con spirito costruttivo. Perché di buoni manager c’è oggi grande bisogno.
Ho ripreso dal libro, in sette post sul sito Bloom!, la descrizione sintetica delle figure.
– Il Manager come-si-deve.
– Il Miracolato.
– Il Complice.
– Il Cocco dell’Analista Finanziario.
– Il Lobbista che gioca in proprio.
– Il Cinico Umanista.
– Il Manager Cresciuto in Casa.
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Sette tipi di manager,
Sintesi metaforica
domenica 6 dicembre 2015
Articolo di Claudio Baccarani a proposito di 'Contro il management'
L'articolo di Claudio Baccarani scritto a commento di Contro il management, "Contro il management, per una costruzione
comune alla ricerca dell’impresa armonica", è apparso sulla rivista Sinergie, 83/10.
Claudio Baccarani, Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese presso l'Università degli Studi di Verona, commenta acutamente le tesi sostenute nel libro. Per arrivare infine a dire: "dato che leggendo le sue pagine mi sono rifatto un’idea, visto che ci sono la trascrivo evitando categoricamente di tirare in ballo la delicata parola scienza: il Management è l’arte della produzione di fiducia e della costruzione del futuro desiderato nel contesto del governo dell’impresa. Che bello sarebbe poterne discutere".
Trovate qui l'articolo.
Claudio Baccarani, Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese presso l'Università degli Studi di Verona, commenta acutamente le tesi sostenute nel libro. Per arrivare infine a dire: "dato che leggendo le sue pagine mi sono rifatto un’idea, visto che ci sono la trascrivo evitando categoricamente di tirare in ballo la delicata parola scienza: il Management è l’arte della produzione di fiducia e della costruzione del futuro desiderato nel contesto del governo dell’impresa. Che bello sarebbe poterne discutere".
Trovate qui l'articolo.
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Stakeholder
sabato 17 novembre 2012
Managers among jellyfishes
Se pubblicassi il saggio in inglese, proporrei all'editore questo titolo. Del perché, ho già detto qui.
The
ongoing protests of Occupy Movement against social and economic
inequality indicate the problem, but do not provide a way out. In the
meantime Business Schools continue to churn out managers unable to
face the challenges of the present time.
Managers
who lead today's corporations and large organizations, Francesco
Varanini writes in this essay, too often are not up to the task.
The
book tells the story of how, around the beginning of the Thirties of
Last Century, in response to the financial crisis, the manager
appears on the scene, new social figure called to lead large
organizations, private or public. Its authority is based on the
ability to find a balance between the different interests involved:
investors, employees, customers, suppliers, local communities.
Not
by
chance,
management
-understood
as
an
academic
discipline-
reaches
maturity
in
the
Sixties
with
the
Stakeholder
Theory.
Stakeholders:
"Those
groups
without
whose
support
the
organization
would
cease
to
exist",
it
is
said
in
an
internal
memo
written
in
1963
by
researchers
of
the
Stanford
Research
Institute.
But
in
1965
Igor
Ansoff,
in
Corporate
Strategy,
marks
a
turning
point:
the
stakeholders
are
not
all
equal.
The
shareholder
count
more
than
others.
This
opens
the
road
to
the
unbearable
situation
of
our
days.
Too
many
managers
today,
writes
Varanini,
instead
of
being
at
the
service
of
value
creation,
are
at
the
service
of
value
extraction.
They
act
in
the
interests
of
the
financial
community,
rather
than
the
interests
of
the
company
for
which
they
work.
Described
this scenario in the first part, the book presents in the second part
a description of a possible manager adapted to the times, again
mindful of the interests of all stakeholders.
To
lead
complex
organizations
today,
writes
Varanini,
we
need
more
wisdom
than
reason.
In
describing
the
new
management
-respectful
of
sustainability,
equity-oriented
and
with
a
long-term
vison-
the
author
puts
aside
the
management
literature.
Rather
than
in
it,
he
finds
inspiration
in
the
Old
Testament
and
in
the
Buddhist
culture,
and
cites
authors
unexpected
in
this
context:
Italo
Svevo,
Philip
Dick.
A
metaphor
summarizes
the
book’s
meaning.
The
manager
is
now
forced
to
swim
in
a
sea
infested
with
jellyfishes.
It
's
pointless
to
protect
themselves
from
risk,
control
procedures
are
are
almost
always
ineffective.
What
we
need
is
to
be
ourselves,
keeping
up
with
the
pace,
light
slipping
through
the
difficulties.
venerdì 23 dicembre 2011
Futuro del Manager: Atteggiamenti e Competenze di Domani: 19 gennaio 2012 a Genova
A Genova, il 19 gennaio 2012, in un incontro organizzato dall'Aidp Gruppo Liguria, su un tema che resta di grande attualità. Nel momento in cui un gruppo di manager sta alla guida del paese.
Non so se dopo, dopo questa, farò altre presentazioni di Contro il management. Già in questa occasione parlerò, insieme, di Nuove parole del manager. 113 parole per capire l'azienda. Un libro che, in forma diversa, torna su molti dei temi del libro. Qualche esempio: la responsabilità; il concetto di azienda -in fondo contrapposto al concetto di impresa-; le idee di libertà, liberismo, proprietà, privato, lette al di là dello stereotipo e del luogo comune; le varie derive della pressione finanziaria: default, bancarotta, interesse, profitto.
Non so se dopo, dopo questa, farò altre presentazioni di Contro il management. Già in questa occasione parlerò, insieme, di Nuove parole del manager. 113 parole per capire l'azienda. Un libro che, in forma diversa, torna su molti dei temi del libro. Qualche esempio: la responsabilità; il concetto di azienda -in fondo contrapposto al concetto di impresa-; le idee di libertà, liberismo, proprietà, privato, lette al di là dello stereotipo e del luogo comune; le varie derive della pressione finanziaria: default, bancarotta, interesse, profitto.
lunedì 14 novembre 2011
Perché dovremmo fidarci di un tecnico? E in special modo, perché dovremmo fidarci di un tecnico bocconiano?
Comunque la si metta, Monti è un
‘tecnico’. Vorrei non dimenticassimo che ‘tecnico’ è un
altro modo per dire ‘manager’. Ricordiamo che nella nostra
lingua fino agli anni sessanta si diceva ‘tecnico’ per intendere
ciò che oggi chiamiamo ‘manager’. La domanda è: possiamo
fidarci dei manager? Riuscirà un gruppo di manager a fare ciò che
non ha saputo fare un’intera classe politica? Spero di sì, e penso
che la decisione del Presidente Napolitano sia stata una buona
decisione.
Ma in questo momento diventa
specialmente importante riflettere sul ruolo del manager.
Ho scritto questo libro, Contro il
management, per mettere in guardia di fronte alle malefatte e
alla pericolosità dei manager. Ho anche detto -e ne sono ancora
convinto- che, così come siamo pronti a dire subito dei difetti e
dell’inaffidabilità dei politici di professione, altrettanto, ed
anzi di più, dovremmo imparare a diffidare dei manager.
Eppure, diamo il benvenuto a Monti. Non
solo perché la situazione di stallo non vedeva molte altre soluzioni
ragionevoli. Non solo perché il nostro stare nel mondo richiedeva
rappresentanti in grado di non ledere la nostra immagine, e la nostra
stessa dignità. Non solo perché serviva qualcuno in grado di
‘metterci la faccia’, serviva qualcuno che potesse essere
riconosciuto come interlocutore autorevole, di fronte ai leader
politici stranieri, di fronte ai fin troppo nominati e rispettati
‘mercati’.
Diamo il benvenuto a Monti perché il
manager può essere veramente la figura che serve, qui ed ora.
Possiamo ricordare che -come mostro in
Contro il management-
questa figura di tecnico, chiamato a gestire organizzazioni
complesse, è venuta alla luce negli anni ‘30 del secolo scorso,
come risposta alla crisi di allora. Credo che si possa dire che le
risposte, allora, furono date, sotto molti aspetti, in modo più
fermo e preciso di quanto sia stato fatto ai nostri giorni, di fronte
a una crisi che non è meno grave.
L’ora dei tecnici
Il manager emerse allora come figura
‘laica’, indipendente da ogni portatore di interessi. Di fronte
all’eccessivo prevalere di un interesse su un altro, serve un
tecnico che gestisca il potere contemperando i diversi interessi. Una
figura sociale in grado di trovare, e di imporre a tutti, un
ragionevole punto di incontro tra i diversi interessi. Pensiamo al
prevalere dell’interesse della speculazione finanziaria rispetto
all’interesse dei ceti produttivi; pensiamo ai divergenti interessi
di giovani alla ricerca di lavoro e di anziani attenti alla pensione;
pensiamo al conflitto tra chi paga le tasse e chi non le paga;
pensiamo all’opposizione tra orientamenti centralistici e la
tendenza ad incrementare le autonomie locali; pensiamo all’allargarsi
del divario tra ricchi e poveri; alla perdurante distanza tra Nord e
Sud.
Certo, il senso del limite, della
misura, del bene comune, dell’interesse collettivo, dovrebbe far
parte del bagaglio di ognuno. Certo, dovremmo, e potremmo essere
capaci, discutendo in pubblico -questa è in fondo la democrazia:
discussione in pubblico- dovremmo essere capaci di trovare un punto
di incontro, di equilibrio, un’area di convergenza. Ma intanto,
prima che la casa comune sia irreparabilmente danneggiata, bisogna
fare qualcosa. Ecco che si rende necessario ricorrere al manager. La
storia non si ripete, ma ricordiamo che negli anni ‘30 dove
fallirono i manager vinsero le dittature.
Di una simile figura, oggi abbiamo
bisogno. Il lavoro del manager si riassume in questo: scontentare
ogni interesse di parte in funzione dell’interesse collettivo.
Precisamente ciò che non riescono a fare -ed anzi, in fondo non
possono fare- i partiti politici. I partiti, per quanto allarghino la
propria base sociale, nascono appunto per rappresentare alcuni
interessi, e non altri.
Questo ragionamento porta a riflettere
sul complessivo senso della politica e della democrazia. Ma non
allarghiamoci. Badiamo a fare qualcosa che serva adesso, senza
perdere tempo. Ricordiamo che per il manager, in fondo, vale il
detto: ‘non importa di che colore è il gatto, basta che prenda i
topi’.
Il ‘topi da prendere’ possono
essere riassunti in tre parole: crescita, responsabilità,
equità.
Crescita, responsabilità, equità
Però la prima parola, crescita,
a guardar bene non ci serve a nulla, ed è fin pericolosa. Tramontata
l’illusione che voleva la ricchezza di pochi fonte di vantaggio per
tutti, risulta necessario precisare di che crescita si tratta. E’
crescita anche la crescita della diseguaglianza e dell’ingiustizia.
Dovremmo quindi dire: crescita come, crescita per chi, crescita
quando, crescita dove.
Perciò, di tutto ciò che va dicendo
Monti, restano due parole: responsabilità ed equità.
Guardiamo dunque alla responsabilità.
La parola è stata ultimamente abusata e sbeffeggiata, la si è
costretta a dire il contrario di ciò che essa vuol dire.
Responsabile è colui che rinuncia all’interesse di parte in
funzione dell’interesse collettivo, colui che manifesta
solidarietà, colui che non svende il futuro in cambio del presente,
colui che non antepone il proprio personale vantaggio al bene comune.
Quindi agiscono in modo non
responsabile i politici che sostengono governi privi di progettualità
e asserviti alla difesa di interessi di parte. E altrettanto,
agiscono in modo non responsabile quei manager che asservono le
imprese al prevalere di un interesse su tutti gli altri: caso tipico,
di questi tempi, i manager che si sentono al servizio dell’azionista
o magari dello speculatore di borsa, ma non altrettanto al servizio
dei lavoratori dell’impresa da loro diretta, dei clienti, dei
fornitori, di coloro che vivranno in futuro dell’impresa, se questa
non sarà schiacciata da interessi di breve periodo.
E ancora, non sono responsabili coloro
-e sono molti- sostengono che l’Italia non deve pagare il proprio
debito. Dicono: se dall'altra parte c’è un ladro, non c’è
debito nei suoi confronti. Dicono ancora: quel debito non l’abbiamo
contratto noi, quindi noi non paghiamo. Ma esportare la colpa,
dipingendo l’altro come la fonte del male, è un tipico meccanismo
di fuga. Dovremmo invece pensare -senza per questo dimenticare le
colpe più gravi e le ingiustizie che abbiamo sotto gli occhi-
dovremmo pensare che sì, ognuno di noi è stato causa di quanto è
accaduto. Abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità,
abbiamo goduto di situazioni di comodo. A tutti compete contribuire
a trovare una praticabile via d’uscita. I nostri creditori non sono
solo avidi speculatori, ma sono anche persone come noi che hanno
prestato denaro al nostro paese. Se i padri compiono errori, sta ai
figli ripararli – nel proprio interesse. L’indignazione ha senso
se si risolve in azione. Non si vive di sola opposizione. Non si vive
senza una classe dirigente. Infatti, alla fine si ricorre ai manager.
L’altra parola, che speriamo Monti
non dimentichi strada facendo, è equità. Appunto,
scontentare tutti negli interesse di tutti. Cercare un punto di
incontro, un’area di convergenza in nome di tutti gli interessi in
gioco. Anche degli interessi di chi non ha voce.
Per questo serve, più della competenza
tecnica, un atteggiamento etico. Più che razionalità, serve
saggezza.
I bocconiani
Questo è il punto chiave: perché
dovremmo fidarci di un tecnico? E in special modo, perché dovremmo
fidarci di un tecnico bocconiano?
In Contro il management ho
argomentato, spero in modo abbastanza convincente, contro i tecnici
bocconiani. Mi esprimo in termini generali e faccio appello alla
saggezza. Quindi non vale la difesa del tipo ‘io sono diverso’.
Riflettano i bocconiani su uno scivolamento che ha caratterizzato la
loro scuola: si sono allontanati dalla lezione di Gino Zappa, che
incarnava una tradizione italiana, legata al nostro modo di fare
impresa, legata all’idea di azienda come luogo di incontro e di
temperamento dei diversi interessi in gioco. Hanno trascurato questa
tradizione per divenire gli ambasciatori nel nostro paese del
management di marca statunitense. Che nascondeva in sé l’inganno e
il non detto: esistono diversi interessi in gioco, ma un interesse
vale più degli altri. Il profitto prevale sulla remunerazione del
lavoro. La Bocconi e la Sda si sono fatti vanto di inserire l’Italia
nel quadro del capitalismo anglosassone. Il neoliberismo, ed il
governo dell’impresa che si inserisce in questo quadro, sono state
il vanto dell’università e della business school. Ma queste regole
e questo governo hanno contribuito alla nostra rovina tanto quanto, o
forse più, dell'insipienza della nostra classe politica. Per questa
via, alla fin fine, l’interesse della finanza speculativa ha finito
per prevalere in modo smaccato su ogni altro interesse.
Cosa possiamo aspettarci
Dobbiamo dunque sperare che Monti
riesca a prescindere da questa tradizione, da questa scuola.
L’orgoglio dell’essere italiani, il recupero della nostra
reputazione e della nostra stessa dignità non stanno nell’essere
uguali agli altri. In nostro futuro non può emergere da scuole ed
università i cui insegnamenti finiscono per legittimare e favorire
il prevalere dell’interesse finanziario. Essere ben piazzati in
certe classifiche che mettono in fila università e business school
di ogni dove, dovrebbe essere inteso più come difetto che come
pregio. Quei manager fatti con lo stampino che escono dalla Bocconi e
dalla Sda con il massimo dei voti e con le migliori opportunità di
impiego, non sono certo i manager che possono portarci fuori dalla
crisi.
Dunque: Monti non è solo il male
minore. Abbiamo buoni motivi per fidarci di lui. Ne sono prova il
lavoro svolto in Europa, la sua lucidità, la sua esperienza, la sua
saggezza.
Da lui ci aspettiamo molto. Ci
aspettiamo che mantenga la promessa contenuta nella terza delle
parole sopra ricordate: l’equità. L’equità non si fonda
su assiomi o su scelte di campo, non sta in nessun programma.
L’equità sta nel fare per noi ciò che non abbiamo saputo fino ad
ora fare: guardare al bene comune, oltre ogni privato e personale e
immediato interesse. L’equità sta in un progetto perseguito
giorno dopo giorno, passo dopo passo, nel pubblico confronto e nel
rispetto dell’altro. Questo è il ruolo del manager, questo ci
aspettiamo da Monti.
Perciò dobbiamo sperare che Monti si
mantenga lontano da ogni appartenenza e dalla sua stessa scuola e dal
suo stesso passato. Speriamo si dimostri saggio, indipendente, fermo
e dialogante. Speriamo sia il meno possibile bocconiano.
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