Dopo ottimi studi scientifici, o più spesso umanistici, rinunciando a carriere universitarie o amministrative o politiche, ha scelto di fare il manager per caso, o per sfida, o magari inizialmente, per consapevole impegno sociale. Spesso inizia lavorando nell'area del Personale. Ma poi l'indubbia intelligenza apre la strada verso ogni ambito del management e verso ruoli di vertice.
E' una categoria rara e per questo pregiata. Se ci interessa davvero che l'impresa italiana ritrovi una sua strada, figure come queste servono come il pane. Potrebbero costituire la guida. Potrebbero fare scuola. Potrebbero costituire una punta di diamante, un'avanguardia. A chi se non a persone dotate di fini strumenti culturali e di solida formazione potrebbe, o dovrebbe essere affidato il compito di portare alla luce uno stile di direzione attento alla storia e alla cultura e all'economia reale del nostro paese.
Eppure, proprio da questo manager Umanisti ci giunge la maggiore delusione. Dove è maggiore l'aspettativa, dove maggiori sono le potenzialità, maggiore è il dispetto per la scarsità dell'apporto, per il prevalere del privatissimo e personale comodo.
In un mondo popolato da Manager-come-si-deve, dove gli scostamenti dalla norma si riassumono in Miracolati e Complici, il Manager Umanista ha vita facile. Brilla senza fatica. Le incontestabili doti gli permettono di sbrigare il lavoro in poco tempo. La maggiore acutezza dello sguardo – nel capire le persone, nel pensare al futuro, appare evidente.
Ma a partire da questi dati di realtà il manager Umanista se ne lava le mani. Invece di bonificare l'ambiente, invece di favorire l'ingresso di giovani di solida e aperta formazione– ama circondarsi di purissimi manager-come-si-deve. Lo fa col sorriso sardonico di chi ha capito come vanno le cose, e sceglie di approfittarne. Sceglie la via del cinismo.
Potrebbe, dovrebbe essere un maestro di etica, e ostenta invece sprezzo e beffarda indifferenza verso gli ideali e le convenzioni. Critica a parole i manager-come si-deve, intimamente li disprezza, irride il loro accanito carrierismo, il loro stile convenzionale, la loro piattezza culturale, la povertà del loro lessico ma si mostra nella sostanza indulgente. Fa comodo e fa piacere avere sottomano un oggetto di scherno ed una conferma della propria superiorità.
Piace al Cinico Umanista brillare nel deserto. Piace al Cinico Umanista guardare innanzitutto a di sé stesso. Così la propria persona, le proprie qualità intellettuali, finiscono per essere il centro preminente del proprio interesse. Considerandosi unico e irripetibile, il Manager Umanista dà ad intendere di non poter avere eredi. Dopo la sua dipartita, ci dice tutto andrà peggio, mi rimpiangerete. E per confermare questa tesi –"Après moi le déluge"–, più o meno consapevolmente si bea nel pronosticare un futuro fosco.
Se il Manager-come-si-deve si vanta di non aver tempo per leggere, il Cinico Umanista ci dà ad intendere di leggere molto. E comunque scrive. Scrive parlando di sé, celebrando la propria diversità. Ma senza indignarsi né proporre qualcosa di nuovo. Offre semmai lezioni ai Manager-come-si-deve, fingendo di mostrare loro come farsi una cultura, ma in fondo giustificandone la pochezza.
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