sabato 1 maggio 2010

Sette tipi di manager: Il lobbista-che-gioca-in-proprio

La sua carriera è anomala. Spesso è un ex Cocco-dell’analista, talvolta un Miracolato o un Complice. Più raramente un ex Manager-come-si deve. Non di rado proviene dalla consulenza, o professioni liberali, avvocato o commercialista; o da una Banca o dalla politica.
Non possiede quasi mai le skill che sulla carta –e secondo l’opinione di professori universitari, consulenti e coach– dovrebbero essere indispensabili al manager, pena l’incapacità di guidare un’azienda.
E questa circostanza dovrebbe farci riflettere: servono davvero al manager queste competenze ‘normali’? Il fatto che il Manager-come-si-deve le possegga, è prova della sua forza, o della sua debolezza? Non contano forse di più altre doti?
Il Lobbista-che-gioca-in-proprio sa che in realtà, di quelle competenze ‘normali’ se ne può fare benissimo a meno.
E’ indispensabile, invece, il pelo sullo stomaco. E’ importante non fermarsi di fronte a nulla, non temere nessuno. In questo il Lobbista-che-gioca-in-proprio è maestro. Lo stesso Complice non può competere con lui. Non c’è gara.
Il Lobbista-che-gioca-in proprio trae il proprio potere dall’appartenere a un sistema di influenze incrociate, a una rete di interessi che si sostengono a vicenda – interessi che ovviamente nulla hanno a che fare con l’interesse dell’azienda nella quale momentaneamente il manager si trova a lavorare: anche sotto questo punto di vista, il Complice ha molto da imparare.
Nel Lobbista-che-gioca-in-proprio la generale tendenza di ogni manager –‘fai innanzitutto il tuo interesse personale’– raggiunge le massime vette. Lui gioca per sé, la sua è una partita personale. Sfortunata l’azienda che si trova a subire in sorte il transito di questi personaggi.
Amara la situazione di una azienda che finisce nelle mani del Lobbista-che-gioca-in proprio. L’azienda, nelle sue mani, non è che una pedina o una fiche, un asset sempre sacrificabile, sempre subordinato a diversi –e personali– interessi. Mentre gli interessi di un qualsiasi altro stakeholder, ovviamente, restano in secondo piano.
Il Lobbista-che-gioca-in-proprio è dotato di un personale potere che rende forte nei confronti del mondo della finanza: è in grado di contrattare e di difendersi, perché è in grado di mettere in gioco altri poteri: la politica, le istituzioni. Il Lobbista-che-gioca-in-proprio decide da solo i propri compensi, ivi compreso, naturalmente, il ‘paracadute’: il compenso che spetta comunque al manager se, anche per propri errori, deve lasciare la posizione.
Camaleontico e potente, personaggio temuto e riverito, può spostare equilibri consolidati. Facile per lui giocare senza remore la carta che è già nelle mani di ogni Cocco-dell’analista, ma che il Cocco-dell’analista -privo dell’ambizione e dell’istinto del killer che contraddistingue il Lobbista-che gioca-in-proprio- è nella pratica restio a giocare: comprare, con il finanziamento del mercato finanziario, la stessa azienda per la quale lavora.

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