Ho scritto per non arrendermi, per reagire, per elaborare dispetto e delusione. Ho scritto a nome a tutti coloro che, ormai vicini alla rassegnazione, osservano la degenerazione delle aziende in cui lavorano. Ho scritto nella speranza di rendere evidente agli occhi dei manager la vanità della loro fatica: gli aspetti illusori del budget, l'accanimento carrieristico, il tempo speso inutilmente la sera in ufficio, il decisionismo che nasconde l'atteggiamento succube nei confronti di ciò che vuole la finanza.
Ma forse più di tante parole basta qualche verso. Nel corso degli anni, spesso mi sono trovato a esprimere in poesia ciò che non riuscivo a dire altrimenti.
Lascio alla fine L'irresistibile ascesa, versi distillati dal dolore e dalla rabbia. (Poesia scritta nella prima metà degli anni '90, già apparsa nella raccolta che ne riprendeva il titolo: L'irresistibile ascesa del Direttore Marketing cresciuto alla scuola del largo consumo, Guerini e Associati, 2003).
Sono passati tanti anni. Nella mia vicenda autobiografica, molte cose sono cambiate. Ma l'immagine del management che desumevo allora da accadimenti che mi avevano profondamente ferito, non è per nulla cambiata. Semmai posso dire che la situazione è degenerata. Per questo penso ci si avvicini a un punto di svolta. Al posto dei manager, persone disposte alla guida, al governo, alla cura.
(Nota: Posso anche essere più preciso, dicendo che questi versi sono ispirati da un manager, una persona precisa, che è stato per un certo periodo mio capo e 'Padrone').
L'irresistibile ascesa del Direttore Marketing cresciuto alla scuola del largo consumo
Ho visto lampi d'ira contratta
dietro gli occhiali d'oro
di uomini marketing
assurti passo dopo passo
ai vertici aziendali
ho visto le loro mani curate
incapaci di stringere mani
e le loro dita serrate
fino al bianco delle nocche
attorno a penne Montblanc
li ho visti spiare il mondo
da dietro il vetro a specchio
dell'Istituto di Ricerche di Mercato
e poi chiedere lumi deferenti
al Guru e alla sua Mappa
li ho visti descrivere il nulla
in sede di briefing
impermeabili all'imbarazzo dell'account
perché col denaro si può comprare
tutto, anche le idee
li ho visti delusi dal sell-in
compulsare tabulati
ed esigere nuovi incroci di dati
perché i piani di marketing
non potevano essere sbagliati
li ho visti abbarbicarsi
per non commettere errori
alle strategie dei competitori
e prendere prodotti stranieri e dire
cosa ci vuole, lo facciamo anche noi
li ho visti ridurre la cultura aziendale
in polvere, in commodities senza sale
li ho sentiti vantarsi di avere sempre copiato
perché innovare è un rischio
che agevolmente può essere evitato
li ho visti sordi
alle accorate ragioni
dei vecchi aziendalisti
che dicevano guardi, mi creda,
questo davvero non si può fare
li ho visti questionare senza vergogna
di tecniche di produzione
imponendo a forza di grida
la propria ignoranza
come forma di potere
li ho visti convocare riunioni
solo per staffilare in faccia colpe
circostanze costruite ad arte per sentirsi
sopra agli altri, ridotti
a guardarsi in silenzio negli occhi
li ho sentiti magnificare
i collaboratori più protervi
o più deboli o più servi
e assumere ragazzi senza genio
ma figli di qualcuno
li ho visti in ufficio
chiusi già di prima mattina
lontani dal prodotto e dalla fabbrica
ma con il telefono in mano
e l'elenco di persone da cazziare
li ho visti agire
solo per non fermarsi a capire
li ho visti fare e disfare
pur di non fermarsi
mai a pensare
li ho uditi ragionare di stili di consumo
ma li ho visti spaesati
alla stazione del treno e nel metro
e sperduti nel traffico
in assenza dell'autista
li ho sentiti rammentare
il loro sogno infantile
essere un giorno
amministratore delegato
di qualcosa
e raccontare le loro domeniche bestiali
nelle loro case da architetto e senza libri
incapaci d'ozio e di piacere
rigidi in jeans ed in maglione
come nella giacca e cravatta da lavoro
costretti ancora da sé stessi
alla fatica vana
di vivere dietro gli occhiali d'oro
con disperata applicazione, il tempo
riga dopo riga dell'agenda.
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